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2018, Gli animali nel mondo antico
Che posto occupavano gli animali nell’antichità? Come noi oggi, anche i Greci e i Romani avevano a che fare con cani, cavalli, galline; avevano allevamenti, vivari, acquari, e adottavano pratiche zootecniche. Amavano i loro animali da affezione, mentre ne uccidevano altri e li mangiavano (magari dopo averli sacrificati in onore di una divinità). Conoscevano e usavano animali selvatici o feroci, o esotici come elefanti e pappagalli. Non mancavano, nel loro immaginario, creature aliene che si credeva popolassero paesi lontani, come l’India e l’Etiopia, patrie dei manticora, dei cinocefali e dei grifoni. Quello che per noi sono i dinosauri per loro erano i ciclopi, i pegasi, le chimere, gli uomini-toro. Un affresco suggestivo che restituisce per intero l’esotismo di un mondo scomparso.
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in: Technai 1 (2010).
2010, Sezione Di Lettere
2017, S. Cresti, I. Gagliardi (a cura di), Leggerezze sostenibili: saggi d’affetto e di Medioevo per Anna Benvenuti, Firenze 2017, pp. 113-134
Questo studio si muove tra le pieghe del processo di formazione della 'biblioteca' di libri tradotti in tempi e in modi diversi nota come "Settanta", nel tentativo di individuare le motivazioni che spinsero i traduttori a rendere la parola ebraica tannîn con drákôn, stesso lemma che altrove nella Bibbia greca individua Leviathan e Rahab, oltre all’anonimo ‘serpente’ di Gb 26.13 e Am 9.3, tutti trasformati per l’appunto in anonimi drákontes e talvolta in kêtê. This study winds between the folds of the translation process of a specific kind of library, the Septuagint, composed by books translated in different times and in different ways. The present study will attempt to identify the reasons that led the translators to render the Hebrew word tannîn with drákôn, the same term that elsewhere in the Greek Bible identifies Leviathan and Rahab, in addition to the anonymous 'snake' of Gb 26.13 e Am 9.3, separate beings that have been transformed by the Greek Bible into anonymous drákontes and sometimes in kêtê.
Fisiognomica (2007) — La Fisiognomica costituisce per noi la prima trattazione sistematica di un tema oggetto di attenzione già molto tempo prima della composizione di quest’opera: l’interpretazione del carattere osservando l’aspetto fisico e stabilendo rapporti analogici tra ciò che si conosce e ciò che si vuole conoscere. L’interesse teorico e pratico è documentato dalla stessa Fisiognomica, quando l’autore fa riferimento ai metodi di indagine adottati in precedenza. Innumerevoli sono i passi della letteratura greca, in cui si affronta (o è implicito) il problema del rapporto tra natura interiore e apparenza esteriore dell’uomo, tra anima e corpo, tra invisibile e visibile, o in cui si discute dell’esistenza e della conoscibilità della mente, di sé e degli altri, oppure si descrivono il comportamento e l’azione, o l’aspetto fisico di un individuo nella sua essenzialità, o nei dettagli. Vissuta al margine dell’assetto delle scienze, riconosciute come tali, pur attingendo da esse e pur fondandosi su presupposti largamente condivisi, la fisiognomica non fu attaccata furiosamente come accadde invece per la divinazione e la magia, basate anch’esse sui segni e su credenze diffuse, ma sentite lontane, nella più consapevole riflessione greca in ambito filosofico e scientifico, da un approccio razionale. L’interesse per la fisiognomica va in ogni caso visto nel più ampio tema del rapporto tra disposizione interiore e aspetto esteriore, tra anima e corpo, tra realtà e apparenza, che affiora o diventa dominante motivo di indagine sia nelle opere più propriamente letterarie, sia in quelle filosofiche e scientiche; esso si inserisce, almeno per quanto riguarda le speculazioni iniziali, nell’ambito della problematica gnoseologica, così come si esprime in Grecia. Il realismo ingenuo, il determinismo e il rigido schematismo della fisiognomica antica e di gran parte della moderna relegano le corrispondenze tra caratteristiche fisiche e indole a pura curiosità, pur sopravvivendo talora in forma di un sapere popolare. Resta tuttavia l’interesse per il metodo, per l’estensione e per l’applicazione, nei vari campi, dei principi che sono il fondamento della fisiognomica, così che si è assistito nel recente passato (si pensi all’antropometria e alla frenologia con cui si è tentato di sostituire l’approccio scientifico a quello simbolico), e si assiste oggi a un rinnovato tentativo o di rifondarla come scienza, con basi e criteri più rigorosi e in funzione ancillare di discipline che studiano l’uomo, il suo comportamento e le sue produzioni artistiche, quali la medicina, la psicologia e la psichiatria, l’antropologia, la sociologia, la storia dell’arte, oppure di comprenderla nel diversificato ambito della ‘retorica del corpo’ e della sua rappresentazione. In ogni caso, sembra in opera una tendenza più generale a ridare valore al collegamento tra forme, strutture e significati, collegamento che l’umanità ha da sempre avvertito in modo istintivo, e che consapevolmente scaturisce da un’idea di concomitanza e di interdipendenza, e da una teoria dell’unità di tutte le cose e di tutti gli eventi, espressa da alcuni settori della ricerca. Il dibattito rimane aperto intorno a questioni fondamentali, che stimolano interessanti riflessioni epistemologiche, cui la conoscenza dell’antica riflessione sul rapporto tra aspetto e indole, e della diversificata produzione antica sull’argomento apporta un incisivo contributo. L’introduzione affronta queste varie tematiche e i vari approcci disciplinari nell’antichità e nell’età moderna (A scuola da Pitagora. Ambiti e metodi della fisiognomica./ La Fisiognomica del C.A. e gli altri trattati antichi: i contenuti. Argomenti dei trattati di Polemone, di Adamanzio e dell’Anonimo latino./ Il corpo e l’anima, il visibile e l’invisibile: interazioni, connessioni, passaggi./ Sema e ethos. Il Peripato e i semeia./ Animali e uomini a confronto. La fisiognomica e il problema del confine tra le specie./ Uomo e donna, greco e barbaro: dicotomie, polarità, valori./ La fisiognomica e le technai./ La vita, il movimento, la forma). Il testo greco (con la traduzione a fronte) è suddiviso in due parti: Trattato A (Relazioni tra la mente e il corpo. I fondamenti della fisiognomica. Possibili metodi di indagine — zoologico, etnologico, etologico — e loro valutazione./ Definizione e delimitazione della fisiognomica; i segni./ I tipi e i loro tratti distintivi); Trattato B (Influsso reciproco di anima e corpo. Difficoltà, componenti e metodo dell’indagine fisiognomica./ Differenze negli animali e negli uomini; il maschio e la femmina./ Selezione ed elenco dei segni). I numerosi problemi testuali sono discussi nel commento (una nota critica elenca i punti in cui mi discosto dal testo di Bekker e di Förster); in esso sono anche sviluppati gli aspetti stilistici e lessicali, e le tematiche storico-artistiche, filosofiche, sociali, antropologiche ed etnologiche, e sono proposti confronti e rimandi, utili a capire la funzione e l’importanza di questo trattato, che resterà a lungo di riferimento per chi si occuperà di fisiognomica, nell’antichità e in epoca moderna. La bibliografia si articola per sezioni: Edizioni principali./ Traduzioni e commenti./ Opere di fisiognomica o di interesse fisiognomico dal Medioevo all’Ottocento./ Studi di riferimento. In Appendice viene proposta una raccolta di passi di alcune delle più celebri opere della letteratura mondiale: una ‘coscienza fisiognomica’ avvertibile già in Omero è ampiamente documentabile nel tempo con continuità, in culture e ambiti diversi.
2012, Università degli Studi di Enna "KORE"
Come ebbe modo di dire Jacques Derrida, nel 2001, durante la consegna del premio Adorno: «La questione animale è la questione filosofica del XXI secolo». Della veridicità di questa previsione ce ne accorgiamo soprattutto negli ultimi anni, poiché il dibattito pubblico e accademico circa il nostro rapporto con gli altri animali rappresenta, sempre di più, un tema su cui vertono e si scontrano numerosissimi discorsi. È all’interno di questo clima di grande interesse per la questione animale che prende vita quella che è la mia personalissima riflessione filosofica in proposito. Poiché essi risultano essere, spesso e volentieri, conflittuali e contraddittori, ciò che mi premeva mettere a fuoco era: cosa legittima i nostri atteggiamenti nei confronti degli altri animali? E soprattutto: ci sono buone ragioni per perpetuare tali atteggiamenti? Ho cominciato per questo motivo a studiare i presupposti teorici dell’etica dominante, antropocentrica e specista, che riduce l’animalità ad alterità assoluta al fine di giustificare il predominio dell’uomo sugli altri animali, con lo scopo di verificare se essi potessero effettivamente considerarsi validi. Per farlo, ho dovuto ricostruire la genesi dei modelli culturali, di matrice antropologica, filosofica, teologica e scientifica, che delineano le modalità con cui l’uomo si rapporta con gli altri animali. Attraverso lo svelamento delle origine storiche di questi modelli culturali, e mediante l’uso della decostruzione e della confutazione di tipo socratico, ho mostrato le contraddizioni interne a tale sistema di dominio, che si è affermato quindi non per la sua validità argomentativa, ma perché legittima delle pratiche a cui l’umanità non vuole rinunciare. Ho quindi proceduto in questo modo: nel primo capitolo ho ricostruito i punti salienti della cosmologia naturalista che sta alla base della società occidentale contemporanea e che esclude i non umani dalla vita civica a causa della loro mancanza dello statuto di soggetto. Una cosmologia che si definisce a partire dalla grande opposizione fra natura e cultura nella quale si iscrivono una serie di altre opposizioni: selvaggio/domestico, interiorità/esteriorità, mente/corpo, innato/appreso e, ovviamente, uomo/animale. Grazie a tale opposizione dicotomica l’umanità ha saputo inventare un attributo distintivo dell’Homo sapiens dove intervengono l’abilità tecnica, il linguaggio, l’attività simbolica e la capacità di organizzarsi in collettività in parte liberate dalle continuità biologiche. In poche parole, secondo quello che è il paradigma ontologico della cosmologia naturalista, ogni essere umano possiede dei vincoli universali biologici e, allo stesso tempo, riesce a darsi delle regole contingenti relative alla sua organizzazione sociale, definendosi come un compromesso fra un monismo naturalista e un relativismo culturalista. L’animale, invece, con cui l’umanità possiede, appunto, una continuità di tipo biologico, sarebbe determinato da una totale discontinuità interiore con gli esseri umani, e risulterebbe quindi sottomesso alle sue determinazioni biologiche e schiavo della propria fisicità fondamentale. L’umanità vanterebbe in questo modo un privilegio ontologico che la distingue nettamente sul piano dell’interiorità da tutto ciò che è estraneo ai meccanismi messi in auge da quest’ultima. Il problema, sotto questo punto di vista, è l’elevazione a pure essenze di due domini, quello di natura e quello di cultura, che non solo sono stati letteralmente inventati dall’Occidente, ma che non sono nemmeno presenti in tutte le popolazioni del pianeta. Questo sancirà anche la nascita della fallacia costitutiva del naturalismo: la fallacia naturalistica. Nel secondo capitolo, ho passato in rassegna tutti i discorsi filosofici e teologici che, dall’aristotelismo fino al meccanicismo, passando per lo stoicismo e il creazionismo, hanno cercato di sancire la superiorità dell’uomo sugli altri animali in virtù di un qualche dispositivo interiore esclusivo che autorizzerebbe il dominio degli uni sugli altri e la subordinazione dei secondi sui primi. È in questo capitolo che abbiamo approfondito le questioni legate all’antropocentrismo e allo specismo. Quest’ultimo, che io intendo come un’ideologia giustificazionista sviluppatasi per rendere leciti lo sfruttamento e l’uccisione degli altri animali, sarebbe quindi l’insieme delle riflessioni volte a ricercare, a posteriori, delle buone ragioni per legittimare il dominio dell’uomo sugli altri animali. Non dobbiamo, come hanno fatto alcuni filosofi contemporanei, classificare lo specismo come un semplice pregiudizio, poiché esso è semmai un insieme di riflessioni descrittive nei confronti di una realtà che aveva già assunto una conformazione antropocentrica e specista. Nel terzo capitolo ho esposto le ragioni che mi hanno portato a scegliere, per il quarto capitolo, una particolare modalità filosofica per esporre una proposta etica in aperta antitesi con quelle descritte nei primi due capitoli: il dialogo socratico. Ho mostrato quali sono le sue caratteristiche, i suoi punti di forza e perché, davvero, essa possa considerarsi la pratica filosofica per eccellenza. Nel quarto e ultimo capitolo ho tradotto nella pratica le indicazioni teoriche esplicitate nel terzo, proponendo un esperimento di dialogo socratico che, servendosi di un redivivo Socrate nel ruolo dell’interrogante e di un uomo antropocentrico e specista come interrogato, ha fatto proprie le tesi di Peter Singer in Liberazione Animale. Il filosofo australiano, mostrando come il termine animale sia una terribile trappola concettuale che ipersemplifica la realtà non rendendone al meglio la complessità, e che l’argomento classico secondo cui gli animali verrebbero esclusi dalla sfera della considerazione morale a causa della loro mancanza di certe proprietà umane (come l’attività mentale complessa) possa rivelarsi un terribile boomerang (poiché, ad esempio, un menomato mentale grave avrà un’attività mentale inferiore a un cane o a un maiale), prova a risolvere le contraddizioni dell’etica specista che, nonostante questa evidenza, continua a preferire un umano a un animale a causa della mera appartenga alla specie Homo sapiens. È per questo motivo che Singer fa del dolore il proprio della morale, perché la capacità di provare dolore e piacere sarebbe, per lui, la prerogativa per avere interessi in assoluto, ragione per la quale nel valutare un’azione come giusta si deve dare uguale considerazione a tutti gli individui coinvolti capaci di provare dolore (e di conseguenza anche agli animali), poiché tutti questi individui posseggono interessi in eguale misura.
2018, Aristotele e le sfide del suo tempo a 2400 anni dalla sua nascita. Atti del Convegno (Milano 9-11 novembre 2016), a cura di R. Radice, M. Zanatta, P. De Simone
Nell’antichità astronomia e astrologia sono state per lunghissimo tempo indissolubilmente legate insieme. Gli scrittori latini risentirono in maniera determinante degli influssi della filosofia greca, soprattutto delle contrapposizioni tra le varie correnti di pensiero, tra le quali spiccano sicuramente quella degli stoici e quella degli epicurei. L’apporto dato alle opere greche dai grandi pensatori latini permise loro una sorta di continuità, di conservarsi nel tempo, e qualche volta di arricchirsi, arrivando a noi attraverso i secoli bui del Medioevo.
2009
È poi vero che la Tradizione escluda l’innovazione e l’invenzione? O, al contrario, i veri “principi” si manifestano in sempre nuove forme? Non è facile rispondere a queste domande. Certo è che, a partire dal Novecento, nel campo delle arti, ma non solo, si è diffusa ed in parte affermata, una tendenza che, sulla scia di Antonin Artaud e René Daumal, si può a buon diritto chiamare “metafisica sperimentale delle arti”, nella quale concezioni e pratiche, volutamente messe da parte dal Rinascimento in poi, sembrano trovare una nuova incarnazione. A tale “rinascita”, o addirittura “restaurazione”, come l’ha chiamata il compositore americano Steve Reich, sono dedicati i saggi contenuti in questo volume.
In this discussion we will address of the image of the wolf in the mythical-religious consciousness of the Greeks, starting from the reading of some sources. Our discussion begins with the narration of the myth of Lykaon, taken from the Description of Greece by Pausania, Greek writer and geographer, who lived in the second century B.C.. We have extended our thoughts focusing on sources and ancient authors who have dealt directly and indirectly with the characteristics of the wolf, seizing common and recurring features. This work has enabled us to build a clear picture of the representation of the wolf, elaborated by the Greek people and by pastoral peoples in general. Our curiosity, also resulted from the mystery and charm of the theme, has allowed us to develop some reflections on lycanthropy in ancient and medieval times. We considered how the mythical legend of Lykaon, built by Greek consciousness, so far away from us, has continued through the ages to exercise such a fascination that the popularity of the phenomenon of werewolves in movies and in literature is still present. In fact, the wolf is the character that arouses fear par excellence, so much that it is considered a sort of bogeyman in this fairy-tale literature, which depicts him as a negative presence to avoid and possibly kill.
2014, I Quaderni del Ramo d'Oro on-line n. 6 (2013/2014) ISSN 2035-7524
In the twentieth century, research in classics and cultural anthropology concerning the relationship between humans and animals in ancient Greece almost exclusively concentrated on the differences between these two groups. Starting from Jean-Pierre Vernant’s surveys (La cuisine du sacrifice en pays grec and Entre bêtes et dieux), the focus of most studies dealing with the differences between humans and animals has been on topics such as hunting, sacrifice, food and sexual habits. However, relatively little attention has been devoted to cases where ancient Greek authors considered the boundaries between humans and animals to be less rigidly defined. This paper examines the evidence provided by a series of anecdotes and stories in particular from Aelian’s De natura animalium, but also by linguistic and cultural habits which portray certain animals as experts in several crafts or techniques and as deserving of recognition among humans. In several texts, humans are said to have acquired skills from animals through imitation, e.g. sailing or medical practices. Through a detailed analysis of Aelian’s De natura animalium, this article demonstrates that it is possible to identify examples of approaches in ancient Greek thought which tend to diminish the boundaries between humans and animals.
2015, Milano, IPOC,
Presso diversi popoli e diverse culture, tanto del passato che del presente, ricorrono narrazioni in cui si parla di spazi e di tempi dove si è resa possibile, come per incanto, un’intesa e un rispecchiamento tra uomo e donna, tra giovani e vecchi, tra l’essere umano e il mondo minerale, vegetale e animale. Cosa dicono a noi contemporanei, in quest’epoca di crisi incombente, tali racconti? Si tratta solo di mitologie, fole nostalgiche e fantasiose riguardanti un passato che forse non è mai esistito? O, al contrario, custodiscono qualcosa di prezioso: una profezia, una speranza, un sogno verso quella nuova innocenza, quel buen vivir a cui – nel segreto più intimo del suo cuore – da sempre, con passione e intelligenza, l’essere umano aspira? Di ciò si occupa il presente saggio: prende le mosse dalle narrazioni presenti nel testo biblico sull’Eden (in Genesi ma non solo: anche nei Salmi e in Giobbe), passando poi attraverso i classici greci e latini, la letteratura popolare, le ricerche archeologiche e antropologiche, fino a un confronto serrato con alcune figure significative del pensiero moderno e contemporaneo (da W. Benjamin a E. Bloch, a G. Bateson, M. Daly e G. Agamben). Lungo questo percorso labirintico vengono esplorate e scandagliate le possibilità e gli esiti meno scontati, rimanendo così all’altezza della radicalità insita in una simile domanda. Come dire: quando il deserto avanza è opportuno pensare in grande e agire di conseguenza.
2005, Storia delle donne
«Annali online dell’Università di Ferrara Lettere» III.1 (2008), pp. 73-94
On the threshold of separating humans from animals, we can trace not only taxonomic and cognitive issues but also power dynamics through literature and language. Anthropology has long started focusing on the normative function of the zoomorphic images created by these cultural media. In the ancient Greek culture this function can be found in the construction of gender identities, as shown by the very ancient model by which women formed their own génos, conceived in term of a species completely different from the male one, and marked with a specific nóos. Another example can be found in the set of metaphors illustrating the woman as a sort of animal to be tamed. In a specular way, the animal species met with a gender characterization: this is quite clear in the physiognomy, whereby "male" species such as the lion, the wolf and the wild boar, were opposed to "female" species like the leopard, the dog and the swine. This phenomenon could sometimes find an equivalent in the linguistic use, where the semantic gender of some animal names shifts to match the marked male/female features of the species, reinforcing the impression that the gender characterizations of the different species could constitute a coherent and meaningful semantic set, with well defined functions in the building of the social identities man/woman.
In questo contributo, il discorso iniziale sul termine Chaos, in contrapposizione all’Antropos, diventa il filo conduttore del testo emergendo in più punti. Il Chaos, mediato dal pensiero filosofico greco, diventa espressione di un ordine latente, un elemento che ci rende più interessante l’esistenza. Un primo punto focale dello scritto considera l’esistenza una interminabile costruzione dal semplice al complesso. Questa dichiarazione impone due questioni domande precise: la prima, riferita a come l’uomo elabori il pensiero scientifico, e la seconda circa cosa renda un cervello una mente umana. Viene quindi messa in evidenza l’importanza della relazione sociale poiché la mente è considerata il prodotto dell’interazione tra processi neurofisiologici ed esperienze interpersonali. Si giunge così al secondo punto cruciale che considera la conoscenza come spinta che pone l’uomo nella condizione di interpretare la propria realtà. La comunicazione porta con sé il problema del linguaggio, della conoscenza e della sua comunicazione. Per Karl Raimund Popper la vita è il processo di conoscenza per antonomasia, il cui scopo è la realizzazione dell’essere vivente in armonia con l’ambiente. Se la realtà emerge come risultato del rapporto dell’individuo con la propria vita emotiva e attiva, affermare la realtà di una cosa equivale a sottolineare il legame personale cognitivamente ed emotivamente stabilito con essa. La nostra esistenza è attraversata da processi che tendono a trasformare le percezioni in esperienza, in un continuo rinnovamento cognitivo Ogni esperienza cognitiva umana coinvolge l’attore in modo del tutto personale perché ciascun individuo è radicato nella struttura biologica che lo esprime. Tuttavia quando, nel considerare la precarietà della realtà, l’angoscia ci pervade si può contrapporre ad essa l’osservazione della propria interiorità sulla quale esercitare il dominio intellettuale.
2013
Tito Vignoli (1824-1914) è stato uno dei protagonisti della stagione positivista italiana insieme a figure quali Cesare Lombroso e Paolo Mantegazza. Pensatore dai numerosi interessi, fu psicologo, antropologo, filosofo, storico delle religioni e tra i primi ad abbracciare la teoria dell'evoluzione di Darwin. La sua riflessione è frutto di una feconda contaminazione tra scienze umane e scienze naturali, come dimostra la sua opera principale, "Mito e scienza" (1879). Ben inserito nel circuito culturale dell'epoca, dopo la morte fu però presto dimenticato. Oggi è noto soprattutto per l'influenza esercitata sul fondatore degli studi iconologici Aby Warburg. Questa monografia, la prima interamente dedicata a Vignoli, restituisce profondità al profilo dell'autore, concentrandosi su un aspetto che ha segnato trasversalmente tutta la sua riflessione: l'indagine antropologica e psicologica sulla natura dell'uomo post-darwiniano. Grazie a vaste ricerche d'archivio, il volume fa luce sul lungo ragionamento di un pensatore che in pieno positivismo amava definirsi "più positivo dei positivisti". Riscoprire Vignoli permette di rileggere il fermento culturale di fine secolo da una prospettiva inedita, mettendone in evidenza le complessità.
Nella poesia di Leopardi parla sempre un pensatore, e nel pensiero parla sempre un poeta. Partendo da questo dato incontrovertibile appare evidente, sin dalle traduzioni giovanili dei classici e dalla prima pagina dello Zibaldone, il meraviglioso intreccio tra verso e prosa, tra scrittura d'invenzione e scrittura speculativa, tra levità creativa e rigore ermeneutico, tra narratività e argomentazione, tra immagini sensibili e immaginazione artistica. Ma, soprattutto, appare evidente quanto la parola poetica e la parola filosofica si appoggino su un medesimo tessuto espressivo-linguistico (l'utilizzo delle figure dell'analogia, e di un dettato vago e preciso insieme) e su una medesima matrice meditativa (il moralismo pratico antico e l'Illuminismo sensista empirista e materialista). Un amalgama davvero esemplare, in grado di elaborare una «grammatica della persona» e una «scienza dell'uomo» nuove e originali, così in anticipo sui tempi da essere ancora oggi assolutamente contemporanee. Patrizia Landi insegna Letteratura italiana presso la SSML-Istituto universitario per Mediatori linguistici "Carlo Bo" di Milano. Si occupa di Leopardi sin dalla tesi di laurea e con Franco Brioschi ha curato la nuova edizione rivista sugli autografi dell'Epistolario con le lettere dei corrispondenti (Bollati Boringhieri, 1998). Tra gli altri suoi interessi, la novellistica di Pirandello e la storia cultural-editoriale di Milano tra Otto e Novecento. Con Clueb ha già pubblicato Con leggerezza ed esattezza. Studi su Leopardi (2012) e con ArchetipoLibri Le strategie della narrazione. Voci, tempi, modi, personaggi (2013). € 27,00 18 mm 135 mm 210 mm
La filosofia della storia nella Grecia classica, 2010
antropologia e simbologia del cibo nel mondo mediteranneo
Il piano di quest'opera abbraccia nella prima parte dal mito al logos. Eraclito di Efeso ha dato un contributo importante al sorgere dell'idea di legge naturale. Parmenide di Elea è da molti considerato l'anticipatore o addirittura il fondatore dell'ontologia o metafisica. E partendo da lui che i grandi metafisici Platone ed Aristotele sono arrivati all'idea che debba esistere un Essere Necessario che non può non essere come fondamento degli esseri (o enti) mutevoli o accidentali.
2018, LO SPAZIO SACRO DELL'EDUCARE
Università degli Studi Roma Tre Dipartimento di Scienze della Formazione Corso di laurea in Scienze dell'educazione Tesi di laurea in Pedagogia dell'espressione Relatore: Gilberto Scaramuzzo
2016, LO SPAZIO SACRO DELL'EDUCARE - Il teatro come rivelazione nel processo educativo
Tesi di laurea in Pedagogia dell'espressione Relatore: Gilberto Scaramuzzo
Appunti estesi del corso di 'Storia della filosofia antica', 2015, Università di Pisa, Professoressa Maria Michela Sassi
Lavoro di tesi per la Laurea Triennale in Filosofia conseguita presso l'Università di Roma Tor Vergata. La tesi verte sulla figura di Protagora a cavallo tra la testimonianza che della filosofia del sofista leggiamo nel Teeteto di Platone e la sua rivalutazione moderna ad opera del pragmatista F.C.S.Schiller, con un occhio di riguardo per gli influssi che il pensiero protagoreo può avere nella teorizzazione di un pensiero democratico, improntato al principio di tolleranza.
Nostra Signora Dea & Il Femminicidio degli Eroi è un viaggio nel tempo che illumina la nostra società. Lo racconta un uomo anziano di media cultura, che si sorprende ad ogni passo, e ride, o si arrabbia, come un bambino. La quarta di copertina annuncia « Una vasta “decostruzione” di credenze archeologiche lungo il Filo di Arianna: dai templi neolitici di Malta alla Grecia dell’Età del Bronzo e del periodo Classico. Un saggio & un racconto di viaggio & un pamphlet fuoristrada, educativo e sorridente. A piccole dosi al mattino, può essere utile contro vecchi mali.» Il percorso è riassunto dal venditore di giornali: « Scoperta archeologica svela origine machismo, stupro di gruppo e femminicidio! » Ha ragione, ma c’è dell’altro, e non ha letto i 13 bonus track, né risposto al quiz. Dopo una diffusione ad personam che ha creato dolori ed esultanze in molti ambienti, pubblichiamo in esclusiva su Academia.edu questa versione di Nostra Signora Dea & Il femminicidio degli Eroi, completa e non censurata. Consigliamo al lettore di scaricarla prima che sia troppo tardi. Prima o poi, un editore avaro chiederà all’autore di ritirarla da Academia.edu dov’è disponibile in tre lingue, gratuitamente. L’autore si inchinerà, perché anche lui ama il denaro.
2012, Voci. Animali reali e immaginari. Pratiche rituali tra antropologia e storia a cura di Vincenzo M. Spera
In this paper I will be concerned with a rite of passage of the young people from a village in Zamora (Spain). It is a paradigmatic example of a big amount of rites of passage. The main characteristics of the rite will be described, as well as the polisemy and the changes it has developed to fit on the contemporary society. In this way, this rite keep being a good point to start to understand the society, culture and the roll of the cultural heritage in the rural areas. This paper focused on the scenery changes, and the maintenance of the main aspects from a symbolic point of view.
2007
Negli anni ’60 McLuhan inaugurava un’intera epoca di studi che non ha ancora smesso di far sentire i suoi effetti, ed anzi è oggi più viva che mai. A seguito delle sue ricerche e intuizioni si è infatti scoperto che ogni medium è già un messaggio, in grado di in-formare di sé gli stessi contenuti di cui via via si fa latore. Nell’epoca dei mezzi di comunicazione di massa quest’ambito di studi ha sempre avuto un accento marcatamente sociologico, mentre in sede più propriamente filosofica ci si è concentrati nello studio di un medium che ha un particolare rilievo rispetto a tutti gli altri, ed è ovviamente quello della scrittura (alfabetica). Questo sia a causa della sua longevità (dai tre a cinque millenni, a seconda dell’ottica adottata), sia a causa della sua importanza nella costruzione di un abito mentale di tipo “logico-razionale” (con la formazione della cosiddetta “mente alfabetizzata”), sia, infine, a causa della sua compartecipazione nella creazione stessa della tradizione filosofica, che è oggi essenzialmente una tradizione di scritti filosofici. Nel presente lavoro si è ricostruita una storia della scrittura (“dalla Mesopotamia alla Grecia”) intesa nei suoi intrecci costitutivi con il resto del “sociale”. Non esiste infatti nessuna “scrittura” se non entro precisi contesti storici, sociali e soprattutto “politici”: in quanto tecnologia del pensiero e dell’archiviazione, ogni sistema di scrittura tende a venire monopolizzato dagli strati verticistici della società – sempre che, beninteso, questi siano presenti e che sentano l’esigenza di avocare a sé questa come altre funzioni culturali. Nel ’52 Ignace Gelb già invitava a considerare i sistemi di scrittura a partire dal loro funzionamento “interno”, lasciando l’analisi della “forma” dei segni sullo sfondo. Durante l’arco degli anni ’60-’80 si è andato ancora oltre, considerando i sistemi di scrittura a partire dall’ “interno” delle società stesse in cui sono stati inventati e poi mantenuti. L’ultima parte di questo lavoro, dopo quella a carattere storico-sociologico, è tesa ad analizzare il particolare rapporto che, come rilevato da molti osservatori, sembra legare l’introduzione dell’alfabeto in suolo greco all’emergere di un pensiero di tipo “filosofico”. L’alfabeto, a differenza di altre scritture, è inteso come un sistema di scrittura dai connotati ambigui: ad esempio, da un lato ha l’aria di essere l’unico sistema in grado di notare il solo livello “fonetico” di una lingua (quindi il solo suono delle parole), ma dall’altro, ad un attento esame ci si accorge che, più che notare il “suono”, l’alfabeto collabora a produrre il livello fonetico della lingua, visto che, come supportato da varie osservazioni, la vera unità minima del parlato – in ogni lingua – è quella sillabica; in altri termini, la scomposizione della sillaba in singoli fonemi non sarebbe altro che un’operazione della mente astraente, quindi un’operazione per nulla “naturale”. Questa è d’altronde la stessa ambivalenza che Platone riscontrava nei contenuti stessi del testo alfabetico – dei suoi come di ogni testo: la loro ripetizione dà solo un’ “aria” di sapienza, mentre la vera sapienza non si accontenta della ripetizione di formule. In quest’ambivalenza non risolta molti vedono la vera radice del pensiero filosofico occidentale.
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